Sul sociale

Gli Street Children di Kampala

A Kampala ci sono numerosi ragazzini che vivono in strada senza genitori. Hanno dai 4 ai 17 anni e si sono allontanati da casa per diverse ragioni. Alcuni sono stati abbandonati, altri sono stati invitati ad andarsene per ragioni di povertà o sono scappati perché non sopportavano più le violenze domestiche…le loro storie sono varie ma il filo conduttore è che tutti loro vivono giorno e notte per strada. Uno di loro, che ha poi fondato un’associazione che lavora proprio con gli street children,  mi ha raccontato la sua storia. Quando aveva 10 anni suo padre si era risposato e lui non sopportava la nuova moglie del padre e i modi violenti che aveva nei suoi confronti. Decide di lasciare il villaggio e di andare a cercare sua madre. Appena arrivato a Kampala, però, si perde e comincia a stare in strada perché non voleva tornare a casa ma non sapeva neanche dove stesse sua madre. Ha vissuto così insieme ad altri ragazzi per strada per due anni fino a quando un’organizzazione non lo ha aiutato a ritrovare sua madre.

Penso di non avere mai lavorato con persone più povere di questi ragazzini. Se ci si limita ad uno sguardo superficiale si rischia di avere paura di loro. Quasi tutti sono scalzi, sporchi di fango e terra, hanno addosso dei vestiti stracciati e vecchi, si portano dietro dei grossi sacchi di plastica. Quando arrivo la prima volta nel campo dove l’associazione si ritrova tutti i pomeriggi per fare delle attività con loro, alcuni stanno dormendo con la faccia appoggiata alla terra, con numerose mosche che gli volano attorno. Altri hanno delle brutte ferite su gambe e braccia che si fanno medicare. Altri ancora giocano a pallone. Le loro facce sono stanche e il corpo porta i segni di una vita già così faticosa. Ma non hanno perso il sorriso ed è proprio da quello spiraglio di vita che ti puoi accorgere che sono ragazzini di cui non avere timore. Si avvicinano, ti danno la mano, ti chiedono “how are you?”, si ricordano il tuo nome, ti osservano, ti prendono in giro. Sono poveri, molto poveri, ma si portano dentro una voglia di vivere che difficilmente ho incontrato in altre persone. Te ne accorgi quando giocano a pallone. Corrono con i loro piedi scalzi o le ciabatte come se ogni pallone fosse quello decisivo, non si tirano mai indietro e la partita sembra essere la finale di qualche torneo dall’intensità che ci mettono. Quando cadono si rialzano come se niente fosse e ridono.

La prima volta che li ho visti ho pensato che fossero ragazzi difficili da gestire, ma non appena ho passato un po’ di tempo con loro mi sono accorto di quanto siano tutti educati e rispettosi. Fanno una cosa che molti ragazzi in Italia non amano fare, ascoltare. Rimango spesso senza parole nel vedere il desiderio di ascolto che questi ragazzi hanno. Ti osservano, sembrano cercare di afferrare tutte le tue parole per poterle farle loro e non si distraggono tanto facilmente. Probabilmente è anche la bravura dell’associazione con cui lavoro che ha fatto sì che il rispetto dominasse all’interno di questa comunità di 60/70 ragazzini. Nonostante siano capaci a sopravvivere, molti di loro sembrano intuire che per vivere hanno bisogno dell’aiuto di qualcuno più grande di loro. Il compito dell’associazione, infatti, è quello di accoglierli, dar loro da mangiare, far fare un po’ di scuola in modo tale da tenere vivo in loro il desiderio di cambiamento e accompagnarli nella decisione di rientrare a casa o in una qualche comunità.

Il problema delle droghe non è poi secondario. Sembra impossibile pensare che questi ragazzi usino droghe, vista anche l’età di alcuni di loro, e quasi ho imbarazzo a parlarne. Immaginate se in Italia parlassimo di droghe a bambini di 8 anni…come minimo qualcuno ci denuncerebbe. Quando però un ragazzino di fianco a me mette la testa dentro il sacchetto di plastica che si porta sempre dietro per sniffare da una bottiglietta di plastica della colla, capisco che devo abbandonare i miei giudizi. La cosa che più mi colpisce di questo bambino è che quando si accorge del mio sguardo chiude la bottiglia veloce e la rimette nel sacchetto sorridendomi. Sembra sapere che quel comportamento non va bene, anzi certamente lo sa, ma per vari motivi continua a farlo. Utilizzano soprattutto colla, marijuana e, alcuni, cocaina. Se gli chiedi perché si drogano tutti dicono che lo fanno per non pensare ai loro problemi, per sentirsi meno soli e per scacciare la paura. In fondo molti di loro sono bambini. Uno mi dice che la droga lo fa sentire come se stesse volando e un altro come se tutto il mondo fosse nelle sua mani. Non nascondono anche gli aspetti negativi di questo comportamento, sanno benissimo che la droga può indurli a comportamenti aggressivi o pericolosi. Tra i rischi dell’usare droga dicono anche: uccidere, essere uccisi, morire, diventare matti e cattivi. Alcuni di loro sono stati picchiati, violentati, rapiti…il non essere lucidi non aiuta a tenere alta l’attenzione ma, spesso, l’utilizzo di droga serve proprio a cancellare dalla memoria queste situazioni o a viverle con meno sofferenza.

Il compito dell’associazione è anche quello di spiegare ai ragazzi che usare droghe non va bene e che se vogliono avere delle opportunità nella vita è importante che smettano certi comportamenti. Sono certo che alcuni capiscono benissimo questo discorso ma, ugualmente, la vita per strada è dura, molto dura. La partecipazione che mettono nelle attività dell’associazione sembra dimostrare che molti di questi ragazzi desiderino una vita con qualche regola in più. Molti di loro hanno provato sulla propria pelle cosa significhi non essere desiderati dai propri familiari ed è per questo, forse, che stanno seduti ad ascoltare qualcuno che ha organizzato un attività pensando a loro.

2014-08-22 15.19.28Quando è l’ora di ricevere il cibo si mettono tutti in ginocchio. Uno degli animatori, da loro chiamati uncle, recita una preghiera e i ragazzi, con gli occhi chiusi, rispondono ad alta voce. Nulla, ma proprio nulla a che vedere con il nostro modo di pregare. Qui gridano, stringono i pugni e le loro facce cambiano espressione. Non avrei mai pensato che questi ragazzi così poveri, che vivono in condizioni tanto precarie, potessero mostrare una fede così forte. Passano con una grossa pentola piena di acqua e si lavano le mani. Poi gli danno da mangiare ma non c’è cibo per tutti e alcuni rimangono senza. Urlano un po’, ma come sempre non si lamentano più di tanto. Non so bene quale sia il sistema utilizzato per distribuire il cibo, se è presente una turnazione oppure se lo danno solo a chi si è comportato meglio. Forse, più semplicemente, non c’è cibo per tutti e quindi devono fare delle scelte. Mi viene da osservare che il cibo potrebbe essere ripartito meglio ma spesso ho l’impressione che qui questo discorso che a noi pare molto democratico non abbia un grande valore. Se le risorse sono poche preferiscono destinarle ad un numero ristretto di ragazzi, in modo da aiutare e fare stare meglio almeno alcuni di loro. Se le dividessero fra tutti nessuno ne gioverebbe realmente, tutti resterebbero con poco tra le mani e nessuno starebbe meglio. E’ un discorso difficilissimo da capire per noi ma in realtà è molto più semplice di quello che può sembrare. In qualche modo provano a “salvarne” almeno uno a discapito di tutti gli altri, ma se dividessero le risorse tra tutti non ne salverebbero nemmeno uno. Come scegliere quell’unico ragazzo da aiutare? Spesso è solo la fortuna a decidere chi sarà salvato. Se si osserva il modo di vivere di questi ragazzi un po’ più da vicino ci si può rendere conto di come la fortuna giochi un ruolo importantissimo in tanti aspetti della loro vita. Un ragazzo un giorno mi ha detto: “tu ci devi aiutare perché sei stato fortunato a nascere in Italia…chi ha deciso che tu nascessi in Italia e io in Uganda? Nessuno…quindi ci dovete dare una mano!”. Forse è per questo che due bambini mi hanno dato un bigliettino con sopra scritto: “Please help us! Give us your phone number!”. In Uganda, tramite telefonino, si possono trasferire i soldi molto facilmente ed è forse per questo che loro mi chiedevano il numero del mio telefonino.

Tutti gli uncle, per fare un esempio, hanno potuto smettere di vivere in strada e riprendere la scuola solo perché hanno trovato qualcuno che li ha “sponsorizzati” e gli ha pagato gli studi per un po’ di anni. In questo modo, come dicono loro, sono stati salvati. Se lo sponsor invece che dare 30 dollari al mese a loro li avesse dati a tutti i bambini nessuno si sarebbe slavato perché 30 dollari divisi per 100 persone non avrebbero portato vantaggio a nessuno. Forse, se le risorse fossero maggiori, tutti potrebbero mangiare ma, come ho già detto, il problema della disorganizzazione non garantisce che i soldi vengano gestiti nel migliore dei modi.

Non ho idea di quanti di questi ragazzini riusciranno a condurre una vita dignitosa e quanti, invece, non resisteranno alla fatica e si perderanno ancora di più. Certamente non mi è mai stato così evidente quanto certe volte l’essere umano non abbia alcuna responsabilità per le condizioni in cui si trova a vivere. Non riesco a pensare che un bambino di 7 anni abbia scelto di vivere in strada. Semplicemente ci si è trovato, non ha avuto altre possibilità. Non mi resta allora che inchinarmi alla loro forza, alla loro voglia di vivere che comunque continua a pulsare sotto quei vestiti sporchi, al loro tentativo di andare avanti anche in condizioni così difficili.