Sul sociale

Internet in Africa

Più di un volta, durante questo periodo in Africa, mi sono chiesto se stessimo vivendo nel 2014. Le strade non asfaltate, i villaggi di case di fango, l’assenza di acqua corrente, i bagni costruiti facendo un buco nel terreno…anche a Kampala, se pur le differenze con il resto dell’Uganda si notano, la situazione non è poi così diversa. Per esempio, quando piove (e lo fa abbastanza spesso…), l’unica cosa che si può fare è fermarsi ed aspettare. Le strade, non tutte asfaltate e piene di buche, diventano dei fiumi di fango e anche se con un ombrello si può pensare di coprirsi la testa non è possibile evitare di trovarsi i piedi completamente sporchi di terra. Oppure, se la sera si decide di uscire a piedi, occorre portarsi dietro una torcia per farsi luce perché l’illuminazione, nonostante siano presenti i lampioni, non funziona. Nel buio, più che trovare malintenzionati, bisogna stare attenti a non cadere nei tombini aperti sui “marciapiedi”, alcuni piuttosto larghi e profondi anche 2 metri. Siamo noi che siamo troppo avanti o sono loro che sono rimasti indietro? Domanda di difficile interpretazione, me ne rendo conto, ma non ho potuto fare a meno di pormela infinite volte senza riuscire ad arrivare a delle conclusioni.

Nel mio lavoro in Italia sto studiando il rapporto tra le nuove tecnologie e l’essere umano, in particolare le modalità con cui si stia modificando la percezione della realtà e la costruzione dell’identità. Appena atterro in Uganda ho l’impressione che tutto questo non abbia alcun peso qui, dove i problemi su cui lavorare e le necessità sono ben altre. Non posso però non pensare alle promesse di far progredire l’Africa portando tutti gli africani su Internet o alle correnti Internet-centriche che considerano il web come la soluzione di tutti i problemi dell’umanità. Per essere precisi, la connessione a Internet in Uganda è presente in molte zone del paese e ci sono numerosi operatori telefonici che ti offrono pacchetti per navigare in rete. Inoltre ci sono gli Internet-cafè dove con pochi scellini si può affittare un computer. Molti ragazzi con cui ho parlato hanno un profilo su Facebook, solo alcuni su Twitter, considerato per una classe sociale più impegnata. Non sono però molte le persone che possiedono uno smartphone, un tablet o un computer. 

Le persone più povere, che vivono nei villaggi o nelle numerose slums di Kampala, che guadagno avrebbero dal possedere una connessione ad Internet? In alcuni casi temo che la connessione al web potrebbe anche destabilizzare e rompere equilibri presenti all’interno di alcune comunità. Diverso sarebbe inserire Internet all’interno di progetti più complessi, vederlo come un punto di arrivo e non solo di partenza. Non parlo solo di alfabetizzazione digitale, ma di qualcosa di molto più articolato. Che senso avrebbe regalare una macchina potente a chi non ha quasi mai visto un’automobile passare per le proprie strade? Anche perché il loro modo di usare Internet, per la natura stessa del web, sarà diverso dal nostro e questo deve imporci una riflessione piuttosto profonda su come introdurre questo strumento. Internet non può essere la risposta, sarebbe troppo facile e riduttivo illudersi di questo. Non basta “regalare” la connessione al web, o a qualche sito web, come di recente ha fatto internet.org, un’organizzazione che vede al suo interno Facebook, Samsung e altri, e che ha come obiettivo consentire l’accesso a Internet ai due terzi della popolazione che ancora non è connessa. Mark Zuckerberg, responsabile di internet.org, ha recentemente “regalato” la connessione ad Internet a numerose persone in Zambia. Ma è davvero tutto così semplice?

In Zambia, se si è clienti Airtel e si possiede un telefono con connessione ad Internet, è possibile scaricare l’app Internet.org, attraverso la quale sarà possibile accedere ad alcuni contenuti: wikipedia, meteo, informazioni sanitarie e ovviamente Facebook. Se si vuole consultare qualcosa di diverso bisogna pagare. Dunque, la prima osservazione che si può fare, è che l’accesso alla rete di milioni di persone è regolato ad un’organizzazione che ha deciso che cosa è giusto che uno consulti e che cosa invece non lo è. Inoltre, secondo questo modello, le persone che vorranno accedere a contenuti diversi dovranno pagare ed è facile pensare che dopo aver “assaggiato” le potenzialità di Internet in molti avranno il desiderio di muoversi più liberamente all’interno della rete. In un articolo su Internazionale n. 1066 (“Il capitalismo umanitario”), Morozov cita una giornalista di Readwrite che fa notare  come il funzionamento di Interet.org sia molto simile alla teoria secondo cui l’utilizzo di droghe leggere porterà prima o poi ad usare le droghe pesanti. In altre parole ti faccio provare Internet gratis e poi ti propongo contenuti a pagamento, ma solo se lo vorrai (e se avrai soldi!). Un altro problema di questo modo di esportare Internet in Africa è dato proprio da Facebook, che si propone come intermediario e infrastruttura di numerosi servizi, privati ma anche pubblici. Se le persone possono accedere a Facebook gratuitamente perché io, proprietario di un’azienda, non apro gratuitamente la mia pagina su Facebook invece che continuare a pagare per avere un sito internet esterno? In questo modo tutto si accentrerà su Facebook . Anche i governi potranno spostare alcune loro attività su Facebook, così da permettere alle persone di accedere liberamente ad alcuni loro servizi. Ma ci si dimentica che Facebook è un’azienda privata e che non è corretto che tutto questo potere finisca nelle sue mani. Come fa notare Morozov, tutto questo dovrebbe farci indignare e gridare allo scandalo, perché in nome di un presunto intervento umanitario si perde l’occasione di un ragionamento più serio e costruttivo su come migliorare la condizione di vita nei paesi in via di sviluppo. “Facebook e Internet.org stanno seguendo un sentiero già battuto. – conclude Morozov – Come ha dimostrato la Banca Mondiale, quando lo sviluppo diventa solo un modo per fare soldi, a rimetterci sono sempre i più  poveri.”. Purtroppo, e lo dico con molta sofferenza, temo che queste previsioni siano più che corrette. Sono tanti, troppi, gli esempi di come in nome di un presunto sviluppo rendiamo i paesi del terzo mondo ancora più poveri e dipendenti da noi e dai nostri soldi. 

C’è poi un altro aspetto da sottolineare. Il solo fatto di possedere una connessione non significa che si accrescerà la propria cultura, che si avranno maggiori informazioni sanitarie o che si frequenterà un corso universitario a distanza. Basta fare visita a qualche villaggio, vedere le case in cui dormono e le condizioni di pulizia in cui stanno, per capire che tutto questo è pura illusione. Ho lavorato una mattinata, insieme ad una counselor, in una clinica che fa prevenzione e cura di persone HIV+. Chi ha il dubbio di avere contratto il virus, prima di fare l’esame, passa dalla counselor dove riceve alcune informazioni su come fare prevenzione. Alcune di queste persone avevano già fatto il test numerose volte ma, nonostante questo, sembravano non avere le più elementari informazioni su come evitare di contrarre il virus. Eppure, tutte le volte in cui si erano presentate in clinica, avevano avuto questo tipo di notizie. Dunque perché continuare ad avere rapporti con numerose persone senza usare precauzioni? Magari con un’app che le informa sui rischi dell’AIDS smetteranno di mettersi a rischio?  Non credo, penso piuttosto che sia necessario trovare nuovi modi di intervento e costruire progetti che non puntino alla semplificazione.

Probabilmente, con una buona connessione ad Internet, le persone potrebbero seguire con più facilità il campionato di calcio inglese o la vita di qualche star della televisione o accedere a contenuti pornografici. Tutto questo non è certo male, non ne voglio certo fare una questione morale, ma non è equivalente agli scopi umanitari con cui certi progetti vengono presentati. Inoltre potrebbero aumentare anche le persone che scommettono sulle partite di pallone e tutte le attività illecite che con un accesso al web è possibile portare avanti, perché ovviamente Internet è anche tutto questo e non possiamo nasconderlo.

Dobbiamo dunque evitare di connettere l’Africa al resto del mondo? No, non penso questo. Sono però convinto che ci siano persone esperte che conoscono come funziona l’economia dei vari paesi africani, la loro cultura, la loro storia…da qui dobbiamo partire per costruire progetti che tengano conto di tutto questo e che utilizzino Internet come strumento per arrivare da qualche parte e non come punto di partenza. Certo tutto questo costa caro, ci vuole tempo e impegno, e i risultati non si vedranno nell’immediato. Più facile limitarsi a “regalare” l’accesso e lasciare che Internet faccia il resto. Ma, lo ripeto, tutto questo può avere delle conseguenze che noi neanche immaginiamo e che possono rendere ancora più complicata la vita di numerose persone.