Psicoanalisi

Perchè la guerra?

Qualche anno fa, quando ancora ero studente di psicologia, ad un convegno di psicoanalisi era stata posta questa domanda ad un relatore: “Perchè chiedere a uno psicoanalista un parere sui fatti di attualità? Voi non state sempre chiusi nelle vostre stanze?”. Lo psicoanalista francese aveva sorriso e poi si era limitato a rispondere: “Sul lettino le persone parlano della loro vita e, dunque, anche della società in cui vivono”. All’epoca non capii che cosa intendesse dire questo psicoanalista di cui non ricordo il nome, mi limitai ad ascoltare la sala che rumoreggiava nel commentare questa risposta.

Molti pazienti in queste settimane mi hanno parlato dei fatti capitati a Parigi. A partire da una ragazza giovane che teme che l’IS possa colpire il palazzetto dove lei e le sue amiche si esibiranno in uno spettacolo di danza, fino ad arrivare a chi ha preso lo spunto da quello che è capitato per fare un ragionamento sulla propria vita e sull’importanza delle relazioni. E poi la paura, la rabbia, la sensazione di essere di fronte ad una montagna impossibile da scalare, il senso di impotenza che il terrorismo ha risvegliato… I fatti di Parigi hanno lasciato un segno in ciascuno di noi ed è difficile rimanere in silenzio e non farsi toccare da quello che è capitato.

Per prima cosa la parola guerra. Qui in Europa è un po’ che non la utilizziamo o, meglio, che non la vogliamo vedere. Per chi come me è cresciuto in un periodo storico di apparente pace sentire pronunciare questa parola fa tornare in mente i libri di storia e i racconti dei nonni. Ma davvero dopo tutto quello che è successo nel corso del secolo scorso siamo di nuovo in guerra? O forse la guerra c’è sempre stata e abbiamo avuto la fortuna di non viverla nella nostra quotidianità?

Per provare a darmi delle risposte ho ripreso in mano il carteggio tra Freud e Einstein, Perchè la guerra? (lo scritto è del 1932 e vi consiglio di leggerlo). Qui Freud parla inizialmente del rapporto tra violenza e diritto. Ci dice che che i conflitti di interesse e di opinione vengono da sempre decisi dall’uomo con l’utilizzo della violenza fisica e che l’eliminazione dell’avversario è la sola e unica garanzia di avere risolto il conflitto per sempre. Col passare del tempo la violenza è stata sostituita dal diritto, ovvero l’unione dei molti, la potenza di coloro che si sono uniti  che rappresenta il diritto in opposizione alla violenza del singolo. Il diritto, prosegue Freud, usa sempre la violenza per affermarsi e proteggersi da chi gli fa opposizione ma questa violenza non rappresenta più un singolo ma la comunità e ha come obiettivo la risoluzione pacifica dei conflitti tra le persone. Il trionfo sulla violenza avviene mediante la trasmissione del potere a una comunità più vasta che viene tenuta insieme dai legami emotivi tra i suoi membri.

Ancora Freud ci suggerisce che le leggi di questo sodalizio determinano fino a che punto debba essere limitata la libertà di ogni individuo di usare la sua forza in modo violento, al fine di rendere possibile una vita collettiva sicura.

Etienne Balibar, su Internazionale n.1129 (Un conflitto indefinito e asimmetrico), si interroga su questa guerra e scrive:

Ma di che guerra si tratta? Non è facile definirla, perché è di diversi tipi, che si sono via via intrecciati e appaiono inestricabili. Guerre tra stato e stato. Guerre civili nazionali e transnazionali. Guerre di “civiltà”, o che quantomeno si considerano tali. Guerre d’interessi e di clientele imperialistiche. Guerre di religioni e di sette, o guerre giustificate come tali.

Una guerra difficile da definire, che certamente non si limita a contrapporre gli interessi di uno stato ad un altro. Proprio per questa sua natura ibrida, penso che richiamare allo spirito nazionalistico non sia utile e che, al contrario, rischi di allargare il conflitto. Oggi abbiamo tra le mani uno strumento fortissimo che  consiste, come scriveva Freud negli anni 30,nel rafforzare i legami emotivi tra i membri di una comunità. Perché tutto ciò che provoca solidarietà significative tra gli uomini risveglia sentimenti comuni di questo genere. La comunità di cui oggi parliamo va oltre il vecchio concetto di nazione e lo stesso diritto, se vuole continuare ad essere un vaccino contro la violenza dei singoli, deve farsi carico di questo cambiamento. Rabbrividisco quando sento politici italiani  proporre la chiusura delle frontiere, quando in televisione difendono il crocifisso e il presepe nelle classi o quando fanno di tutto per inasprire il conflitto di religione e di civiltà. Questa è la strada della guerra e della violenza. Anche la scelta di bombardare lo Stato Islamico va nella direzione della guerra, perché non si vogliono ammettere tutti gli errori fatti in quei territori negli ultimi decenni continuando a perpetuarli. Questa che vogliono farci passare come una guerra di “civiltà” è come tutte le guerre una guerra di interessi economici e politici. Contro questa guerra abbiamo solo uno strumento: rafforzare i legami emotivi tra di noi e allargare i diritti.

Infine, come ultimo punto, Freud si interroga con Einstein sul perchè la guerra provochi in loro tutto questo fastidio. L’incivilimento ha portato alcuni cambiamenti nell’essere umano: il rafforzamento dell’intelletto, che arriva a dominare sempre di più la vita pulsionale, e l’interiorizzazione dell’aggressività, con tutti i vantaggi e i pericoli che ne conseguono. La guerra, che contraddice il processo di incivilimento, porta gli uomini di pace, come Freud si definisce  (siamo nel 1932), a non sopportare più il conflitto bellico perchè in contrasto con l’incivilimento.

Da quando Freud e Einstein si sono scambiate queste lettere sono passati molti anni e parecchie guerre sono state combattute. Nonostante tutto il rifiuto e l’insopportabilità della guerra resta forte. Da qui dobbiamo partire. Senza ascoltare chi vuole farci credere che il nostro vicino di casa, di religione musulmana, sia così diverso da noi e sia pronto a dichiararci guerra. A queste persone, per ragioni di sicurezza, dovrebbero togliere la parola (e Twitter).