Psicoanalisi,  Sul sociale

La cibernetica e Lacan

9 Febbraio 1955. Lacan sta tenendo la decima lezione del suo secondo seminario, intitolato L’io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi. Il seminario è molto bello, interessante sotto innumerevoli punti di vista. Lacan riprende Freud passo passo, chiede di leggerlo con attenzione, di non precipitarsi a voler capire e interpretare quello che Freud, molto semplicemente, non dice (cosa che Lacan continuamente critica agli psicoanalisti post-freudiani).

All’interno di questa lezione, ad un certo punto, c’è un passaggio sulla cibernetica che trovo molto attuale e che proverò a riprendere e commentare. Lacan sta parlando di alcuni schemi che Freud ha utilizzato per provare a spiegare l’apparato psichico e, a tale proposito, introduce il tema della cibernetica che in quegli anni muoveva i suoi primi passi.

“Perchè si è così stupiti da queste macchine? […] Poiché anche la cibernetica procede da un movimento di stupore al ritrovarlo, questo linguaggio umano, che funziona quasi da solo, con l’aria di farci lo sgambetto. In queste macchine il linguaggio c’è, è vibrante.”

Il primo punto è questo: lo stupore. Stupore per ritrovare il linguaggio, ovvero qualche cosa di appartenente all’umano, all’interno di una macchina. Un linguaggio vibrante, vero, in grado di arrivare alla persona, di toccarla. Il fatto che questo linguaggio funzioni quasi da solo, tra l’atro, non fa altro che aumentare la sua credibilità. Ho la sensazione che a distanza di anni i progressi tecnici scientifici non ci abbiano portato ad affrontare il perché di questo stupore ma abbiano contribuito ad aumentare lo stupore in noi esseri umani. Più una macchina parla da sola, più è autonoma rispetto all’essere umano, più rimaniamo a bocca aperta. Siamo ancora fermi lì.

Poi Lacan procede con un passaggio molto simpatico che, come è nel suo stile, aiuta a portarci al cuore della questione. Parla di una conferenza ascoltata alla Società di filosofia dove lo psicoanalista Favez-Boutonier ha fatto un intervento sulla psicoanalisi. Intervento modesto, dice Lacan, ma “molto al di sopra di quello che molti avevano sentito fin lì”. Alla fine dell’intervento prende la parola il dott. Minkowski, psichiatra, che interviene ripetendo “le solite cose che gli sento dire da trent’anni, poco importa a quale discorso sulla psicoanalisi debba rispondere”. Lacan, precisa, non vuole accusare Minkowski ma porta questo esempio per sottolineare che questo è proprio quello che accade comunemente nelle società scientifiche. Ovvero, potremmo dire, che l’essere umano è portato a ripetere senza prestare troppa attenzione a quanto di nuovo viene portato sotto i suoi occhi.

A questo punto torna sulla cibernetica. “Perchè è nata l’espressione paradossale macchina pensante?”. Davvero una macchina può pensare? “Io sostengo di già che gli uomini pensano molto raramente, e non parlerò certo di macchine pensati!”. Insomma Lacan rifiuta questa affermazione non tanto perché una macchina non può pensare ma perché quel pensiero è preso in prestito dall’uomo il quale, a sua volta, è in difficoltà su questo punto. Non può essere il pensiero la caratteristica di queste macchine che sorprende l’essere umano.

Anche perché, prosegue Lacan, “quello che succede in una macchina pensante è in media di un livello infinitamente superiore a quello che capita in una società scientifica. Quando le si danno altri elementi, la macchina pensate risponde qualcos’altro”. Dunque queste macchine non possono essere pensanti perché il pensiero dell’essere umano non potrà mai essere composto esclusivamente dalla somma di informazioni che possono essere acquisite. Il pensiero di un uomo, per definizione, sbaglia.

Dunque che cos’è che ci provoca stupore nel ritrovare quel linguaggio all’interno di queste macchine? Si potrebbe dire, seguendo ancora per un attimo il seminario di Lacan, che siamo certi che quel linguaggio provenga dall’esterno, che non sia cioè un’invenzione della macchina, ma non è sufficiente dire che quel linguaggio è stato inserito dall’uomo. Questo non potrebbe certo giustificare lo stupore e l’entusiasmo che tutti nutriamo di fronte a queste macchine.

Il punto, se vogliamo, sta proprio in questo ultimo passaggio. Il fatto incredibile è che queste macchine ci permettono di osservare che il linguaggio è già lì, che non è proprietà dell’essere umano, che non appartiene all’uomo. Si entra nel linguaggio, si è parlati dal linguaggio, si prende posto all’interno della lingua. Queste macchine mettono in luce, a mio parere, che la lingua, l’ordine simbolico, non è qualche cosa di proprietà dell’uomo. Da qui nasce lo stupore, nell’aver creato delle macchine in grado di far funzionare quello stesso linguaggio che utilizziamo noi. Tra l’altro, se pensiamo alla nostra contemporaneità, il fatto che quel linguaggio sia reso sempre più simile a quello dell’essere umano, aumenta il grado di stupore e di fascinazione nei confronti della macchina. Questo è il punto essenziale, che, tra l’altro, non si riduce certo alla cibernetica ma apre a questioni molto più ampie che riguardano certa psicoanalisi e, più in generale, la psicologia.

Per questo penso che sia corretto non parlare di macchine pensanti, perché il loro pensiero non ha nulla a che fare con l’imprecisione del pensiero umano il quale, a dirla tutta, deve tenere insieme diversi piani. Non ultimo quell’inconscio che si sta dando sempre più per scontato, al punto da farlo scomparire per farlo ritornare come sinonimo di inconsapevole. Questo significa anche che per quanto le macchine possano diventare sempre più abili nel maneggiare il linguaggio non potranno mai sostituire l’essere umano il quale non è fatto solo di linguaggio,  si limita a prenderlo in prestito.

One Comment

  • Marta Pellegrini

    Ho letto con interesse questo post! Credo che mi abbia suggerito parecchie riflessioni su alcuni temi a me cari. Mi sono laureata in Semiotica con una tesi in Linguistica Computazionale proprio perchè mossa dalla curiosità che suscitava in me l’idea di una macchina parlante e, forse, pensante. Mi piace l’idea che il linguaggio sia preso in prestito dall’essere umano e mi sorgono dubbi su due argomenti in particolare: il tema della menzogna e il tema dell’incertezza.
    Su questi due argomenti mi farebbe piacere, se fosse possibile, avere un feedback o semplicemente qualche informazione in più o spunto. Segnalo due cose che mi sembrano collegate in modo relativamente creativo:
    -alla menzogna e alle macchine (o almeno agli automi e al loro potenziale da un punto di vista “simbolico”), il film La migliore offerta https://www.youtube.com/watch?v=CE0Gzz688ek
    -all’incertezza invece un intervento di Luciano Floridi su Che Futuro! http://www.chefuturo.it/2015/07/eminenze-grigie-silicon-valley/
    … non so se può essere interessante, forse non sono proprio esempi immediati, ma dati alcuni temi caldi in tempi recenti, come il ruolo dei bots sui social media e il tema della “post-verità”, mi sembra che la menzogna, l’incertezza (dal punto di vista dell’informazione) e il ruolo delle macchine siano sempre più collegati in modo stringente.