Genitori e figli,  Psicoanalisi

Il tempo perduto del padre

C’era una volta, qualche decennio fa, una classe di liceo che si alzava in piedi quando il professore entrava in classe. Quegli stessi alunni, tornati a casa, ascoltavano con rispetto i genitori e non rispondevano loro quando venivano criticati. Mai si sarebbero sognati di insultare il proprio padre. La Legge non era messa in discussione ed era il punto da cui partire.

Il racconto di questo tempo mitico, dove la Regola regnava sulla vita delle persone creando anche molta sofferenza, è molto attuale. Quando si parla dei giovani contemporanei, infatti, si sente spesso dire che sono senza regole, senza valori, senza ideali e senza Padri. Di fronte alle difficoltà educative che oggi si possono incontrare, ci si appella così alla malinconia e a quella Legge che non era mai messa in discussione. Un padre che parla ad un figlio, un professore che si rivolge ad un allievo, un anziano rispettato da un giovane. 

Oggi, nel tempo della social media education, le generazioni connesse sembrano credere molto più nella rete che nella regola. Se tutti la pensano in un modo significa che quel modo è quello giusto, anche se la regola dice il contrario. In fondo basta firmare una petizione online, fare un flash mob, mandare infinte mail precompilate ai politici di turno per fare valere la rete e il suo potere. La regola sembra essere messa in secondo piano, superata, resa inutile dalla rete che da sola può soddisfare qualsiasi bisogno della persona. Ma è realmente così semplice liberarsi dalla regola? Secondo l’ideologia che crede che il web possa liberare gli umani dai propri problemi sì. Prendiamo ad esempio questa pubblicità uscita all’inizio degli anni ’90 sul primo numero di Wired (rivista che si occupa di nuove tecnologie). La Logitech, per pubblicizzare il proprio mouse, decide di utilizzare l’immagine di un bambino che indossa un pannolino con sotto la scritta “feels good”. Nella pagina accanto compare la foto dello stesso bambino, questa volta senza pannolino e intento a compiere l’atto del fare la pipì in piena libertà. Sotto di lui la scritta “feels better”. Tramite il web, sembra dire questa pubblicità, saremo finalmente liberi di fare quello che vogliamo senza nessun impedimento esterno.

Eludere la regola, prendersi gioco della Legge, ipotizzare un mondo in sua assenza non è però realmente possibile ed è per questo che oggi si assiste alla dietrologia che vorrebbe il ritorno di un padre autoritario in grado di rimettere tutti  in fila e riportare l’ordine. La responsabilità di questo cambiamento, che ha radici molto profonde, non è ovviamente del web ma possiamo pensare che la connessione digitale abbia velocizzato e amplificato questo processo di cambiamento. Forse, potrei provare a dirla così, Internet ci ha dato la possibilità di sperimentare una vita in assenza di regola. L’illusione di non possedere più il proprio corpo e di poter così muoversi liberamente e con leggerezza in questo nuovo spazio sempre più ricco di vita ha portato l’ideologia comune a credere nella possibilità di una vita senza affanni e sofferenze. Tutto questo è evidente nel lavoro clinico con gli adolescenti, che trovano nel web uno spazio di tranquillità, dove possono muoversi senza venire giudicati e dare libero sfogo alla propria immaginazione e creatività. Non c’è motivo di limitare questo spazio o avere delle regole che ne controllano l’uso: chi ha avuto successo nel web ha osato e ha sfruttato le potenzialità di questi nuovi mezzi di comunicazione e socializzazione. Il genitore o l’insegnante che danno regole diventano allora obsoleti, inutili, un impedimento alla propria realizzazione. Il problema più grande di questo discorso è che spesso sono gli stessi adulti a credere nell’antichità delle regole inscritte nei propri strumenti educativi e a sposare l’idea che nella nostra contemporaneità non serva più una Legge a cui appellarsi. Il problema, a mio avviso, si colloca proprio in queste punto, ovvero nell’illusione di aver trovato una maniera per poter superare le sofferenze che la Legge, sia essa morale o etica, infligge all’essere umano. Ma, come si può ben intendere, tutto ciò a che fare con una pura illusione, con un discorso vuoto e ripetitivo che non fa altro che riproporre il consumo del godimento. Perché, che lo si voglia o no, continuiamo ad avere bisogno della Legge.

[Lo stesso web, tra l’altro, per funzionare ha bisogno di leggi che ne regolano il funzionamento. Ho però l’impressione che tutto questo resti molto nascosto e che sfrutti questa ideologia neoliberale per portare avanti interessi economici e politici in assenza di un reale contraddittorio.]

Senza regole non esiste relazione tra le persone. La regola permette lo scambio, l’incontro e lo scontro, la comunicazione e il dialogo e soprattutto apre le porte al desiderare. Questa presunta assenza di regola di cui tutti parlano non è che un tentativo maldestro di nasconderla e di metterla in ridicolo, pensando così di poter ottenere una presunta libertà e ricavandone un maggior godimento. Forse potremmo dire che oggi i giovani fanno fatica ad accettare la regola e che sono portati a considerarla un impedimento piuttosto che un’opportunità di relazione. Ma non possiamo parlare dei giovani senza fermarci ad osservare il mondo degli adulti: il bambino, infatti, è parlato dall’Altro prima ancora di essere un soggetto parlante. Una regola, per poter essere presa in considerazione, ha la necessità di essere raccontata all’altro. Oggi, molto più che ieri, la Legge non è già data, non è iscritta in un ordine assoluto. Al contrario è necessario che diventi atto, ovvero che venga testimoniata.

Come si diceva il cambiamento a cui stiamo assistendo è molto profondo e non possiamo certo pensare che la responsabilità di tutto questo sia dei social media. Quando parliamo di generazioni connesse non ci stiamo riferendo solo agli adolescenti e ai loro smartphone, ma al fatto che non esista più distanza tra le generazioni. Spesso i genitori sembrano vivere nella stessa confusione relazionale dei figli, per non parlare di come la precarietà lavorativa abbia appiattito le differenze tra persone di età diversa. Ma anche in questo caso non serve farsi prendere dal disfattismo e richiamarsi con nostalgia a quel tempo in cui regnava un presunto ordine assoluto che dava tranquillità. Come può dunque essere in funzione la Legge tra le generazioni troppo connesse?

Alcuni genitori, durante le consulenze, mi dicono che hanno provato più volte a dare delle regole al figlio ma sempre senza ottenere alcun beneficio. In alcuni casi, presi dall’esasperazione, si è pure arrivati allo scontro fisico che però non solo non ha risolto la situazione ma ha allargato la distanza relazionale e la possibilità di comunicare all’interno della famiglia. Non si tratta dunque di richiamarsi solo alla regola o di volerla far funzionare con violenza. Anche perché in questo modo non si fa altro che dare tutta la responsabilità di quello che sta capitando al ragazzo che diventa così un incapace, un maleducato (espressione curiosa che diventa molto ambigua quando a dirla è un genitore nei confronti del proprio figlio), un pigro che non ha voglia di fare altro che pensare alla propria soddisfazione.

Se si vuole far funzionare la legge tra le generazioni per prima cosa è necessario che in famiglia ci sia un racconto in atto. Un racconto del figlio, certo, ma anche del padre e della madre, delle loro famiglie e del tempo in cui stiamo vivendo. Quando si è all’esasperazione, infatti, l’altro è appiattito sulle proprie difficoltà e non c’è più spazio per poter inventare qualcosa di nuovo. Il discorso diventa allora vuoto, ripetitivo e sterile. Si sente un padre che parla del figlio non vedendo più possibilità di successo, una madre che sostiene che il padre abbia sbagliato tutto perché non si è mai fatto rispettare e un padre che rimprovera la madre di non essere mai stata in grado di offrire accudimento al figlio. L’atto del raccontare permette di interrompere questo processo circolare, di permettere alle parole di dire qualcosa di differente, di essere autentiche nel cercare quel tratto che rappresenta la novità. In questo racconto, come per magia, la distanza generazionale può riprendere ad esistere e la legge, non più assoluta, può trovare un suo posto autorevole e unico, da dove può esigere di essere rispettata.

La nostra contemporaneità ci offre la possibilità di sperimentare una qualche forma di libertà che però diventa improvvisamente vuota se non incontra un racconto in grado di renderla viva. La distanza generazionale, che sembra non esistere più a livello assoluto, può allora essere in atto solo nel racconto di ciascuna persona, testimoniata con la propria esperienza di vita. Lo stesso discorso vale per la Legge, che anche se non è più data per scontata non è scomparsa e deve trovare il modo di essere vissuta, raccontata. I giovani non hanno bisogno di nuove regole, magari messe a tavolino per cercare di arginare un nuove fenomeno, ma di adulti in grado di testimoniare con la propria vita l’importanza etica di una Legge che, proprio perché limita, apre le strade al desiderare.