Rischiare il mare aperto
Gli adolescenti e il rischio. Quando è troppo? Quando invece fa parte di un normale, se pur rischioso, passaggio della vita. Il romanzo di Maylis de Kerangal ci porta dentro il loro mondo. E lo fa non senza farci provare un rischio.
Respirano. Guardano davanti a loro il mare che si apre. Pronti a saltare, a sfidare la gravità, la paura, il mondo degli adulti, la vita. Un salto rischioso, certo, che non offre nessuna garanzia di successo. Ma non è forse questa una bellissima metafora della nostra vita? Gli adolescenti raccontati da Maylis de Kerangal in Corniche Kenedy sono allo stesso tempo immaturi e responsabili, spavaldi e timorosi, confusi e determinati. Giocano a sfidare la vita, anche se non se lo dicono mai apertamente, avendo paura di poterla perdere. Il salto impossibile, quello che non tutti hanno il coraggio di fare, lo chiamano il face to face.
C’è pure un terzo promontorio. Quello è pericoloso, lo sanno tutti. Lo chiamano il Face to face perchè, ridono loro, è il grande faccia a faccia: lì stai di fronte al mondo (primo), di fronte a te stesso (deuxio), e di fronte alla morte (tertio), arghhhh la mooorte!
Perché l’adolescente sfida la vita al punto da arrivare a toccare la morte con una mano? Questo si chiedono gli adulti mentre pensano preoccupati ai giovani. Oggi più che mai, poi, queste sfide trovano spazio sui social network e diventa impossibile ignorarle o far finta di non vederle. Difficile però avere da un adolescente una risposta chiara e definitiva a questa domanda. Certi gesti non hanno in sé un significato esaustivo e, proprio per questo, bisogna ampliare il punto di vista. Occorre osservare il mare, nella sua vastità, evitando di fermarsi alla roccia e ai metri che separano dallo schianto con l’acqua.
L’adolescente non conosce il significato della parola vita, almeno non come lo conosciamo noi adulti. Per questo per assaporare il gusto del vivere deve poter intravedere la morte, la fine, un limite da non oltrepassare. Certo tutto questo è rischioso, non potrebbe essere altrimenti. Ma anche qui, insisto nel dire: non è forse rischiosa la vita? Il rischio di non incontrare il proprio desiderio, di non poter vivere pienamente l’amore, di non riuscire a vivere come si vorrebbe. Sul lettino di un analista si coricano tante vite che non hanno rischiato abbastanza e che vorrebbero rischiare di più per poter assaporare il gusto del proprio desiderio.
L’adulto ha quindi un ruolo centrale nel rischio dell’adolescente. Limitarlo senza giudicarlo. Del resto, l’abbiamo visto, i ragazzi hanno bisogno di limiti. La loro vita è una danza sul limite. Per gli adulti, però, è difficile sospendere il giudizio. Non è un caso che, passano le generazioni, ma il ritornello è sempre lo stesso: questi giovani non hanno più valori. I ragazzi non vanno giudicati ma limitati, lo ribadisco.
Nel libro du Maylis de Kerangal si vede bene che più il mondo degli adulti cerca di bloccare l’iniziativa pur rischiosa dei giovani, più i ragazzi si organizzano per aggirare la regola. Potremmo però dire che solo grazie a quella regola disobbedita un ragazzo può diventare adulto. Solo l’attraversamento del limite imposto consente di crescere e di prendere le distanze da alcuni comportamenti pericolosi. Ecco. La questione sta qui. Il limite non garantisce il successo, non impedisce ai ragazzi di continuare a prenderti dei rischi. Ma è solo dando quel limite che i ragazzi possono fare esperienza di qualcosa di nuovo.
Dunque è necessario che la regola ci sia, che sia presente, che si incarni in qualcuno. Nel romanzo quel qualcuno è l’ispettore di polizia, Sylvestre Opèra. Come un genitore cerca di far rispettare le regole ma poi è pronto ad andare a recuperare uno a uno i ragazzi che non l’hanno rispettata. Chiamandoli per nome, cercandoli, facendoli diventare adulti. Non è semplice, però. Significa spendersi nella relazione, abbandonare i riferimenti sicuri per muoversi in mare aperto.
Troppo spesso, oggi, assistiamo a comportamenti differenti da parte degli adulti. Le regole vengono date, ma non sono vissute, non si incarnano, non vengono testimoniate. Oppure non vengono proprio date, in nome di una presunta maturità. In entrambi i casi un ragazzo rischia di muoversi senza riferimenti in cerca di qualcosa che possa farlo crescere e sentire adulto. Salta anche lui, certo, ma quel salto non vale nulla: è solo una prova di coraggio.
Il rischio in adolescenza è inevitabile. Ma se vogliamo aiutare i ragazzi a crescere e diventare grandi, dobbiamo dar loro la possibilità di vivere il mare aperto. Avendogli però prima fatto vedere come si fa a nuotare in quel mare così vasto della vita. Questo è il valore più profondo della testimonianza che può portare i ragazzi a dar prova della loro immensa saggezza.
Si agitano ma non si dicono niente, non è il momento, non ancora, e, nella loro immensa saggezza, obbediscono a quel tempo, e neppure si baciano.