Il lavoro con l’adolescente
Non troppi vicini ma neanche troppo lontani. Il lavoro con l’adolescente non è semplice, che si sia genitori, professori o psicoterapeuti. In questo articolo mi interrogo su come poter stare vicino ai ragazzi, evitando che si chiudano come delle chiocciole e aiutandoli a trovare la propria direzione.
Da adolescente pensavo che da grande mi sarei occupato di adolescenza. Un pensiero curioso, dovuto probabilmente all’intensità dell’adolescenza stessa. Un periodo fatto di tante emozioni, in cui si ha la sensazione che qualcosa stia iniziando anche se non si capisce bene la direzione che si sta prendendo. Nel mio ultimo libro, I giovani non sono una minaccia, ho provato a non definirla in questo modo:
“L’adolescenza non è una patologia (sic!), è il momento in cui qualcosa ha inizio. L’identità, le relazioni, gli amori, le passioni iniziano durante l’adolescenza. E, ahimè, tutti gli inizi contengono in sé un qualche elemento di separazione, un momento di rottura con il passato, una scoperta che cambia l’ordine delle cose. Per questo motivo l’adolescenza è un tempo complicato”
Il lavoro con l’adolescente non è semplice, è complicato. Essere genitore di un adolescente non è semplice, è complicato. Perché in questo tempo è necessario trovare uno spazio nuovo, anche per l’adulto. Non troppo vicino, non troppo lontano. Soprattutto, questo spazio deve essere sempre ricercato, non è mai dato una volta per tutte, perché non è detto che la distanza trovata un giorno vada bene anche il giorno dopo. Ma in quella distanza c’è tutta la fatica e la bellezza del lavoro con il giovane.
Come mondo adulto abbiamo oggi un grande compito. Evitare, con le nostre teorie strampalate e con l’ipocrisia che ci caratterizza, di bloccare la crescita delle generazioni future. Lo possiamo fare smettendola di sostituirci ai figli. Dando loro lo spazio per crescere, per annoiarsi, per creare mondi, per odiarci, per mettere in discussione tutto. Lo possiamo fare ammettendo la nostra fallibilità. Anzi, partendo proprio qui, dalla consapevolezza di essere limitati, di non sapere tutto.
Mi sembra questo un punto cruciale. Ammettere i propri limiti senza rinunciare a educare significa, in fondo, lasciare liberi i figli di poter crescere. Quel buco che il genitore non nasconde è la via di salvezza del figlio. Una madre, un padre, un educatore, uno psicoterapeuta, un insegnante, un maestro che accettano la responsabilità di indicare una direzione senza pretendere di indicare la via Giusta. Significa che a ciascuno spetta il compito di trovare la propria via. Credo non ci sia dono più bello da fare a un giovane.
Leggendo Il libro dei perché di Gianni Lodari ho poi trovato una risposta che mi ha molto colpito e che mi aiuta a porre nuove riflessioni su questo tema. La domanda è Perché la chiocciola entra nel guscio se le toccano le corna? Questa la risposta
“Se un ladro ti insegue , un brigante ti minaccia (non sia mai!), anche tu ti rifugi in casa e sbarri le porte: così fa la chiocciola al minimo allarme, e nel suo fragile guscio si sente al sicuro da molte offese. Che bestia prudente! Io ho conosciuto una volta un certo signor Chiocciola: che persona prudente! Appena sentì odor di guerra si tappò in casa e non mise più il caso fuori. Così non vide nemmeno la bomba che gli cadeva in testa. Che persona imprudente! Non era meglio se usciva di casa e faceva fare la pace a tutti?”
Il lavoro con l’adolescente è qualcosa di simile. Mi spiego meglio. Capita, quando si è contatto con un giovane per lavoro o perché si è un genitore, di toccargli le corna. Ovvero di affrontare un tema per lui delicato non riuscendo però a discuterne. La reazione dell’adolescente è infatti simile a quella della chiocciola: si chiude. Lo fa perché è fragile, perché ha paura, perché si vergogna, perché non vuole deludere. Oppure, molto più semplicemente, non sa il perché. La casa, la propria camera, è quello spazio in cui si può stare tranquilli e l’adolescente in quel momento preferisce quello spazio.
Abbiamo sbagliato dunque a toccargli le corna? Chi può dirlo. Magari non si poteva farne a meno, era necessario farlo per poter andare avanti. Bisogna allora saper accettare la chiusura del ragazzo all’interno della proprio guscio. Con prudenza, si è preso uno spazio per sé, ha la necessità di proteggersi.
Non può però essere solo questa la direzione. Perché altrimenti, come ci racconta Rodari, avviene un passaggio dalla prudenza all’imprudenza che non aiuta più di tanto il ragazzo. Stare chiusi, non vivere per paura di vivere, non può essere la soluzione. Dobbiamo allora prendere quella chioccola in mano, lasciarle il tempo di venire fuori, cercare il più possibile di accompagnarla. Senza rinunciare, qualche volta, a toccare quelle corna anche sapendo che potrebbero provocare una nuova chiusura. Non ne dobbiamo avere paura, ma allo stesso tempo dobbiamo essere pronti ad accogliere quel ragazzo quando si aprirà.
Per questo l’adolescenza è un tempo complicato. Anche per l’adulto.