Genitori e figli

Papà, mamme e family influencer

A inizio 2023 ho scritto un libro che racconta e analizza la vita dei bambini negli ambienti digitali. Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare dal titolo, nel libro parlo quasi esclusivamente dei genitori e poi, solo alla fine, mi soffermo anche sui bambini e sul loro utilizzo delle tecnologie. In questo libro c’è un capitolo a cui tengo tantissimo che parla dei diversi modi in cui i genitori mettono in rete le immagini e le storie dei bambini, dei modi in cui si utilizza il minore per avere un qualche tipo di tornaconto personale, di come viene racconta la genitorialità sui social.

Per affrontare questo tema, avevo deciso di seguire un po’ di pagine di papà, mamme e family influencer e per diversi mesi tutte le volte che entravo su Instagram e Facebook mi ritrovavo, non senza imbarazzo, immerso nella vita di queste famiglie. Avevo deciso di partire da loro, dalla punta dell’iceberg formata dagli influencer piccoli o grandi che fossero, per scendere poi fino alla condivisione che molte persone “comuni” fanno della vita dei loro figli. Mi chiedevo, e mi chiedo ancora pur avendo oggi qualche risposta in più, se fosse corretto normalizzare questa esposizione dei minori i e quali conseguenze questo tipo di comportamento potesse avere non solo nell’educazione e nello sviluppo dei bambini che finiscono in rete, ma anche di tutte quelle persone che li seguono e, ancora, di tutte quelle altre che pur non seguendole direttamente si trovano comunque immersi in un certo modo di pensare e raccontare la genitorialità.

Riporto qui sotto un passaggio del mio libro in cui si parla nello specifico dei papà influencer:

“Blog e social ci raccontano di una paternità che si sta modificando, che vuole cambiare, che vuole essere differente e diventano quindi lo strumento per produrre un altro racconto, nuovo, inedito. Ma, come detto, le community e i network che si formano attorno a questa idea di cambiamento non si limitano a riprodurlo. Lo amplificano e lo trasformano portandolo molto più in alto e facendolo risuonare anche nelle stanze in cui si prendono decisioni. Questa, in fondo, è un’ottima notizia. Il lato luccicante della medaglia. 

Passando al versante negativo, invece, i problemi nascono quando i messaggi si amplificano a tal punto da rischiare di perdere la loro spinta creativa e si trasformano in tutto e per tutto in un contenuto del parentainment. Che però, è bene averlo bene in mente, non smette di avere presa sulle persone. Non smette di influenzarle. Anche il mondo dei papà non è infatti immune da questo problema. Se poi l’obiettivo è quello di far crescere i follower, magari per poter avere qualche sponsorizzazione o semplicemente qualche like in più, il rischio è di perdere completamente di vista il senso del proprio racconto. E i bambini, soprattutto quando si smarrisce il significato del proprio essere online, rischiano di essere messi al centro del racconto dei padri, diventando il contenuto principale dei loro account, senza che ce ne sia un reale motivo. Abbiamo smesso di domandarci il senso di quella esposizione. E la dimensione politica e sociale a cui certi papà si rifanno, a mio avviso non basta più a giustificare un certo uso delle immagini dei bambini in rete. 

Ancora una volta ci troviamo di fronte a un cortocircuito. Il bisogno di raccontare la propria esperienza genitoriale, di condividere i propri vissuti con altre persone, di spingere la società verso un cambiamento si piega alla logica del like, della visualizzazione e, infine, del mercato. E i figli rischiano di diventare un contenuto come tanti che scorre sulle bacheche di tutti noi, perfetti sconosciuti. Con quali conseguenze?”

Spesso, queste pagine social, nascono con i migliori intenti e non possiamo negare che abbiano anche avuto un ruolo positivo nello spingere la società al cambiamento. Come racconto nel libro, questa dimensione politica e sociale era presente fin dall’inizio e anzi era spesso l’unica spinta presente nei blog e nei forum che per primi, già a partire dal 2008, volevano raccontare un modo diverso di essere genitori. Però poi tutto è cambiato, anche a causa dei nuovi strumenti a disposizione, e non accorgersi che la genitorialità è diventata un contenuto di parentainment, ovvero di genitorialità-intrattenimento che per esistere e resistere sui social deve stare alle regole del gioco, è un grave errore. Significa non voler vedere che in questo gioco, i bambini portano like e visualizzazioni. A volte, qualche influencer, si giustifca dicendo che chiede sempre ai figli se vogliono essere presenti oppure no nei contenuti ma questo tipo di affermazione, perdonatemi se sono troppo diretto, è la prova di quanto siamo completamente fuori strada dal voler mettere a fuoco il problema.

Le soluzioni che abbiamo per arginare tutto questo, oltre alle riflessioni e al potere che abbiamo come soggetti nel decidere chi seguire e chi no, ci vengono indicate dal Commento generale n.25 delle Nazioni Unite, approvato nel 2021, il cui titolo Sui diritti dei minorenni in relazione all’ambiente digitale ci fornisce già una bussola. 

Anche in questo caso, cito dal mio libro:

“Il punto 67 (del commento), che apre la sezione Diritto alla privacy, non lascia spazio ad alcun dubbio in quanto ci ricorda che «la privacy è vitale per la capacità, la dignità e la sicurezza dei minorenni e per l’esercizio dei loro diritti». Mi pare questo un punto che dovremmo tenere bene a mente e non scordare. […] La frase con cui si chiude questo punto è quella che più di tutte affronta il tema dello sharenting. «Le minacce [alla privacy] possono derivare anche dalle attività dei minorenni stessi e dei loro familiari, coetanei o altre persone, ad esempio da genitori che condividono fotografie online o da uno sconosciuto che condivide informazioni in merito a un minorenne». I genitori vengono qui indicati tra le persone che possono mettere a rischio la privacy del figlio nel momento in cui ne condividono le fotografie. Come già detto, è paradossale che sia proprio chi deve proteggere il figlio a metterlo in una condizione di rischio andando ad esporlo di fronte a un numero difficilmente controllabile di persone. Da questo punto di vista, al di là di tutte le giustificazioni e spiegazioni che possiamo portare, lo sharenting resta un comportamento molto discutibile e pericoloso. 

Infine, nel terzo raggruppamento, ci sono due punti che troviamo nella sezione XII, Misure di protezione speciale, all’interno del paragrafo sulla Protezione dallo sfruttamento economico, sessuale e di altro tipo. Al punto 112 viene ribadito che «i minorenni dovrebbero essere protetti da tutte le forme di sfruttamento pregiudizievoli per qualsiasi aspetto del loro benessere in relazione all’ambiente digitale». Se su questo aspetto non si può che essere tutti d’accordo, a maggior ragione perché in questo punto si fa riferimento allo sfruttamento economico, sessuale, alla vendita, alla tratta, al rapimento di minorenni nonché al reclutamento degli stessi per attività criminali, qualche fatica in più la si potrebbe provare quando viene poi detto che «creando e condividendo contenuti, i minorenni possono essere attori economici nell’ambiente digitale, il che può comportare il loro sfruttamento». Qui si apre il delicato, delicatissimo tema, di quando e se l’immagine di un figlio o il suo essere parte attiva dell’attività di influencer di un genitore, è un caso di sfruttamento economico oppure no. A tale proposito, al punto successivo, il 113, si chiede agli Stati di «revisionare le leggi e le politiche in materia per garantire la protezione dei minorenni contro le forme di sfruttamento economico, sessuale e di altro genere e la salvaguardia dei loro diritti in relazione al lavoro nell’ambiente digitale e le relative opportunità di remunerazione». 

Cambiano gli ambienti e cambiano anche le possibili forme di sfruttamento. Se è rassicurante sapere che il diritto alla privacy dei bambini si estende anche, o soprattutto, a questi ambienti, lo è molto meno il pensiero che è spesso il comportamento dei genitori a metterli a rischio. Magari senza averne consapevolezza, ma il discorso non cambia.”

Per chi fosse interessato ad approfondire, il titolo del mio libro è La vita dei bambini negli ambienti digitali, editore Edizioni Gruppo Abele.