Correre

Perché correre all’aperto fa bene

Pubblico la relazione che ho tenuto in occasione del GreenTOur organizzato da Giannone Running nel 2022 in cui parlo del perché correre all’aperto fa bene. Il prossimo evento GreenTOur sarà a Torino dal 22 al 24 Settembre 2023.

perché correre all'aperto fa bene
foto presa da pexels

Prima di iniziare a correre, non avevo idea della quantità di persone che vive attivamente il parco. C’è chi corre, chi cammina, chi gioca a calcio, basket, tennis, pallavolo, chi va in roller e chi sullo skate, chi balla, chi fa arti marziali, chi fa yoga, chi chiacchiera, chi mangia e chi prende il sole. Forse questo è uno dei pochi regali che ci ha lasciato il covid: farci riscoprire i parchi e il piacere di stare all’aperto. Perché questo è per me un punto importante: fare all’aperto quello che prima facevamo al chiuso ci fa stare meglio. E non lo dico io, ma tanti studi e rassegne che hanno sottolineato quanto sia rilassante e piacevole il contatto con la natura. Anche per questo penso che avremmo bisogno di più parchi in cui le persone si possono trovare e inventarsi attività e meno centri commerciali.

I parchi e i giardini pubblici svolgono un ruolo fondamentale nel promuovere il benessere della società. Oltre a fornire un luogo per l’attività fisica, rappresentano spazi ideali per socializzare, rilassarsi e rigenerarsi. La comprovata influenza positiva del contatto con la natura sulla nostra salute mentale e fisica sottolinea ulteriormente l’importanza di tali ambienti. La promozione di parchi e aree verdi non solo contribuisce a ridurre lo stress dovuto alla vita urbana, ma migliora anche significativamente la qualità della vita delle persone. La sostenibilità di iniziative finalizzate a garantire a tutti un accesso equo e sicuro a questi spazi è cruciale per favorire il benessere delle comunità.

A conferma di questa idea, c’è anche un romanzo, o una seri di romanzi, scritti da Mauro Covacich che è uno scrittore e un runner. Nel suo ciclo delle stelle, per l’appunto una serie di romanzi che parlano di corsa, narra le vicende di Dario Rensich. Ex maratoneta, vanta un sesto posto alla maratona di New York ed ex allenatore di un gruppo di giovani ungheresi. Ex perché viene poi squalificato per doping. Dovendo pensare a come fare per vivere, non potendo più stare nel mondo dello sport, Dario decide di darsi alle performance artistiche e in particolare accetta di correre delle maratone su un tapis ruolant di fronte alle persone che lo guardano mentre dietro di lui vengono proiettati i dati biometrici sulla sua corsa. La cosa interessante è che questo romanzo non verrà mai scritto ma sarà proprio Mauro a correre questa maratona sul tapis roulant e a registrarlo in un video. Con una serie di problemi non indifferenti.

Intanto non potrà bere per tutto il tempo perché avrà un tubo sulla bocca che gli servirà per registrare il suo respiro. Poi ci potrebbero essere dei rischi propriocettivi, perché mentre le gambe comunicano movimento gli occhi vedono un mondo immobile. Poi problemi di concentrazione e di motivazione. Inoltre correre per tutto quel tempo su un tapis roulant obbliga a tenere il passo della macchina. Per strada no, non è così. Per strada puoi rallentare o accelerare ma sul tapis rolulant no. In pratica si trasforma l’atto di correre in qualcosa di estremamente meccanico, in un puro gesto tecnico, non tenendo minimamente in considerazione gli aspetti psicologici, motivazionali ed emotivi. Ma correre è anche questo e il successo della corsa, me ne accorgo ogni giorno di più, sta nel riuscire a tener insieme queste diverse parti che ci abitano. La tecnica, certo, ma anche la motivazione e i significati che ciascuno di noi mette in quel gesto tecnico.

Mi aggancio a quest’ultima immagine, quella di Mauro Covacich che corre una maratona su un tapis roulant, per citare una ricerca in cui è stato dimostrato che fare un’attività di tre ore di trekking all’aperto ha un effetto sulla persona migliore del farlo per tre ore su un tapis roulant. Dunque a parità di km percorsi e di pendenza, chi ha camminato all’aperto è più felice, calmo, ha sentito meno la fatica e ridotto gli stati ansiosi. Perché la natura è essenziale per la vita degli esseri umani, lo sappiamo anche se ce ne dimentichiamo con una facilità disarmante, e lo è a maggior ragione per gli sportivi, runners compresi. Fare attività all’aperto secondo alcune rassegne anche recenti porta a un miglioramento del benessere generale, a stabilità psicologica, soddisfazione nella vita, intelligenza emotiva, flessibilità intellettuale, consapevolezza, empatia, autostima e motivazione intrinseca. 

Correre all’aperto, immersi nella natura, ha dunque diversi effetti positivi e in particolare ci sono alcuni aspetti che possiamo adesso sottolineare.

Il primo è la fatica mentale. Ci pensiamo poco, ma ha un effetto molto importante su chi pratica sport. La fatica mentale è uno stato psicobiologico indotto da attività cognitiva prolungata e impegnativa e include anche aspetti emotivi e motivazionali. La fatica mentale può compromettere la prestazione di resistenza attraverso un’elevata percezione dello sforzo. Si è visto che a parità di situazione è la fatica mentale a far sentire di più lo sforzo all’atleta. Dunque, percepirla meno, significa avere una performance migliore e correre all’aperto fa sentire meno questa fatica. 

Poi abbiamo la motivazione intrinseca, ovvero il trovare dentro di noi la motivazione ad andare avanti, ad allenarci, a cercare sempre di superarci. La motivazione può essere anche estrinseca, quindi arrivare da fuori attraverso ad esempio premi e punizioni che arrivano da un allenatore. Ma è la motivazione intrinseca a far fare la differenza perché fa aumentare la percezione di possedere una maggiore capacità di autodeterminazione. Anche qui, in natura la motivazione intrinseca aumenta perché aumenta la soddisfazione per quello che stiamo facendo. Perché l’avere corso su un bel sentiero ci fa trovare nuove motivazioni rispetto a quando corriamo, ad esempio, in una strada trafficata o su un tapis roulant.  

Infine la gestione dello stress. L’ambiente naturale ci abitua ad affondare dei problemi e ci stimola a trovare delle risposte per risolverli. E questo ha valore fin da bambini. Un motivo in più per non viziare troppo i giovani atleti e fargli toccare con mano l’importanza di arrangiarsi e cavarsela.

C’è poi un ulteriore aspetto che ha a che fare con l’agonismo. La parola agonismo deriva dal greco agonismos e significa lotta. Questo vocabolo a sua volta deriva dalla parola agon, l’agone, ovvero una generica competizione. L’agonismo, che c’è ed esiste in molte delle attività che portiamo avanti nella nostra vita, deve essere educato in tanti modi. La natura può aiutarci a lottare in maniera corretta, sana, mettendo al centro la fatica, l’impegno, la naturalità dello sforzo. La natura, non la chimica o tante altre trovate che ci illudono di lottare meglio e più forte e mi riferisco qui anche al problema del doping. La natura è un ottimo antidoto al doping perché se cresciamo nel verde, nei parchi, in montagna o sui sentieri della collina, impariamo anche ad avere un altro rapporto con noi stessi.