Perché stiamo abbandonando i ragazzi?
La triste vicenda della bicicletta elettrica lanciata dai Murazzi su alcuni ragazzi che si trovavano a camminare sul lungo Po e che ha ferito, mandandolo in coma, un giovane di 23 anni mi sta molto interrogando. Possibile che si arrivi a questo? Possibile che chi ha compiuto questo gesto non sia riuscito a comprendere la gravità di quella azione prima di compierla? Che non si sia fermato, che nessuno dei suoi amici gli abbia detto “che fai? fermati!”. Poi, sempre qualche giorno fa, mi sono imbattuto nel video terribile di quei ragazzini che a Seregno, Milano, hanno aggredito e spinto un loro coetaneo mentre stava aspettando il treno per tornare a casa. A causa della spinta, il giovane finisce sotto il treno e se è ancora vivo è solo per miracolo. Un video tremendo, che forse avrei preferito non vedere ma che se non altro mi ha dato modo di tronare sulla questione: possibile che quei ragazzi non si siano resi conto di quanto sia pericoloso spingere in quel modo una persona sulla banchina ferroviaria? Davvero la vita conta così poco?
Tornando a Torino, ieri hanno fermato 5 giovani, due maggiorenni e tre minorenni, con l’accusa di avere lanciato la bicicletta dai Murazzi. L’accusa è di tentato omicidio. Questi ragazzi vivono in alcuni quartieri periferici di Torino. Ho letto che si è data la colpa all’alcool, alla noia, ai genitori che non educano..probabilmente è tutto vero, sono tutti ingredienti che possono starci in situazioni come questa, ma secondo me non bastano. Non possono bastare, perché per noia non si tira una bici da 23 kg su della gente. C’è dell’altro che facciamo fatica a vedere perché è infinitamente più semplice dare la colpa solo a loro, che mettere in discussione il sistema dentro cui certe cose avvengono.
Lo dico per non generare fraintendimenti. Entrambe queste situazioni che ho appena descritto non rientrano tra le bravate dei ragazzi e hanno anche poco a vedere con il bullismo in senso stretto. Sono reati, gravissimi, e come tali vanno trattati. Però, se ci fermassimo qui, perderemmo un’occasione per provare a comprendere.
Proprio ieri, un mio paziente che conosce molto bene le dinamiche di piazza e dei quartieri di Torino, mi ha fatto fermare a riflettere su alcuni aspetti a cui non ero arrivato. A Torino, mi dice, ci sono tante gang legate ai territori, gruppi di ragazzi che vivono soprattutto nei quartieri periferici e nella prima periferia. Questi gruppi di giovani, quasi tutti minorenni, hanno una loro cultura sotterranea che dall’esterno è poco vista e riconosciuta: vige la legge del più forte, ci sono delle dinamiche di controllo del territorio e delle regole che definiscono cosa si può fare e cosa no, quando è giusto vendicare e quando invece non se ne ha diritto. Si nutrono di rivalsa sociale, vogliono dimostrare a chi non è come loro che loro sono più forti e che non hanno paura di niente, anzi, se mai si divertono a terrorizzare le persone. Spesso il centro della città, che non è il loro territorio, è un luogo in cui si può attaccare il nemico che può essere qualcuno di un altro gruppo oppure uno sconosciuto, meglio ancora se benestante ma non è quella la discriminante. Si muovono in branco e anche quando sono soli sanno che se gli succede qualcosa di sbagliato poi il loro gruppo interverrà in un secondo momento. Basta un messaggio, una telefonata, ed ecco che se serve la vendetta è servita. Non hanno paura di ricevere un pugno, perché sanno che fa parte del gioco e soprattutto perché lo sanno tirare anche loro. “Mors tua, vita mea” mi ha detto il mio paziente cercando di farmi capire che il gioco è molto più serio di quello che potrebbe sembrare dall’esterno. Dal suo punto di vista, quello che è successo a Seregno, è la dimostrazione del fatto che certi ragazzi non pensano alle conseguenze delle loro azioni perché in quel momento hanno come unico interesse quello di non farsi schiacciare e dimostrare a tutti che loro sono i più forti. La testa si annebbia e non c’è altro, solo il non volersi far mettere in piedi in testa. Mi ha fatto notare che nel video di Seregno si vede il ragazzo che ha spinto che non appena si accorge che il coetaneo finisce sotto il treno si mette le mani tra i capelli e poi fa per tirarlo fuori. Non voleva buttarlo sotto il treno, anche se quello è stato il risultato inevitabile della sua condotta. Come se, mi dice, non avesse proprio visto cosa sarebbe potuto succedere. Ma qualcosa di simile, mi dice, succede tutte le volte in cui si tira un pugno a qualcuno. Non sai che effetto farà, se lo prendi male lo mandi in ospedale o comunque gli spacchi le ossa. Ma sono cose che in quel momento non pensi, perché se no sei un debole. Qualcosa di simile secondo lui è successa ai Murazzi. Certi gruppi, certe gang, vanno in giro a cercare qualcuno da disturbare, qualcuno che permetta di fare dire a loro che sono i più forti. Che sono sopra la legge, quella dello Stato ma anche quella degli altri gruppi con cui sono in competizione, che possono fare quello che vogliono, che nessuno li può fermare. Possono anche buttare una bici dall’alto contro dei ragazzi in coda per entrare in discoteca. Certo, poi c’è anche l’alcool che completa il tutto ma non è l’ingrediente centrale.
Lo so, è tutto molto duro e difficile da digerire e queste mie parole vogliono solo allagare la riflessione, non sono certo una risposta. Credo però che dobbiamo tornare a guardare alle nostre periferie, quelle fisiche ma non solo, usando occhi nuovi perché ci sono luoghi in cui le tutte le Istituzioni, la famiglia, la scuola, lo Stato, non hanno più alcun ruolo e dove contano solamente gli istinti primordiali più basilari. Quelli in cui ti schiaccio e in cui se non vuoi essere schiacciato devi essere più forte. Come se certi ragazzi fossero costantemente in guerra, anche se noi ce ne accorgiamo solo quando capitano questi fatti di cronaca tremendi. Dobbiamo interrogarci sul perché, come società, stiamo abbandonando tutti questi ragazzi. Dobbiamo riuscire a vedere che nel continuare a pensare il mondo come un posto elitario in cui va avanti solo chi ha merito e capacità stiamo creando le basi per tante altre situazioni come questa. Situazioni tremende, lo ribadisco, perché poi colpiscono chi davvero non ha colpe e che spero possa riprendersi il prima possibile per tornare alla sua vita.