Attacchi di panico
Decidiamo di fare un giro in bici e pedaliamo per un bel po’ senza dire niente. Quando siamo davanti a scuola rompo il silenzio.
«È da tanto che soffri di attacchi di panico?»
«Non lo so. Ho capito cosa fossero solo l’anno scorso. A volte mi sembra di averli da sempre, solo che non sapevo come si chiamassero. Mi ricordo quand’eravamo piccole e andavamo a street dance in bici e a me venivano i crampi allo stomaco dal nulla. All’epoca volevo solo tornare a casa da mamma, ma ormai non lo posso più fare.»
«Non mi sono mai accorta di niente.»
Malin fa spallucce.
«Be’, non ti ho mai detto niente.»
«E cosa ti senti quando succede?»
«Tipo come se stessi per morire. Ogni volta sono convinta che morirò e poi quando passa è come se…non fosse più così. È per questo che è così difficile parlarne: non ti fidi più di quello che provi.»
Annuisco, ma in realtà non sono sicura di aver capito.
In ogni caso sembra terribile.
Loro sono Manda e Malin, le protagoniste di Poi prenderemo New York, romanzo scritto dall’autrice finlandese Ellen Strömberg e pubblicato in Italia da Terre di Mezzo. Sono due adolescenti alla ricerca di un senso da dare alla loro vita ed è molto interessate il modo in cui si muovono, i pensieri che abitano in loro, il vuoto che ogni tanto sembra prendere il sopravvento, come quando a un certo punto Malin ha un attacco di panico. Improvvisamente, dice, è come se sentisse di dover morire ma quando tutto passa mancano le parole per descrivere ciò che è appena capitato. Il vuoto prende il sopravvento e diventa così angosciante perché non si trovano le parole per poterlo raccontare e descrivere. Anche dopo, quando si potrebbe provare a dirne qualcosa, le parole non arrivano, non riescono a trovare un senso, una trama: quello che resta sono sensazioni confuse, senza capo ne coda, impressioni, pennellate disordinate su una tela bianca.
Mi viene in mente la descrizione che di tutto questo riesce a dare lo psicoanalista Nicolò Terminio che, nel suo ultimo saggio, Lo sciame borderline (Raffaello Cortina Editore), scrive che “L’attacco di panico mostra lo straripamento del Reale e viene vissuto dal soggetto come un fulmine a ciel sereno che in modo imprevedibile fa emergere la vita fuori da qualsiasi rappresentazione e da qualsiasi limite. La crisi di panico si configura come un’esperienza che mette in risalto l’inefficacia del Simbolico nel ricoprire con il senso la dimensione del Reale. In tal modo, l’attacco di panico assume le sembianze dell’evento traumatico perché il soggetto si ritrova ad affrontare la “nuda vita” senza riferimenti simbolici”.
Gli attacchi di panico sono dunque esperienze traumatiche, “terribili” come pensa Manda mentre ascolta la voce della sua amica, in cui per il soggetto non c’è più ordine, non c’è più parola, non c’è più una bussola. Per questo vanno presi sul serio e ascoltati, soprattutto non minimizzati.