Adolescenza,  Sport

I rischi dell’agonismo nello sport giovanile

Cosa accade quando, con la crescita, lo sport assume un ruolo sempre più centrale fino a trasformarsi in attività agonistica? In questo quarto articolo (qui il primo, qui il secondo e qui il terzo) affronto i rischi dell’agonismo per i più giovani. Sono aspetti da tenere a mente e da non sottovalutare, cercando sempre di ricordarsi che dietro a un’atleta o un atleta troviamo per prima cosa una ragazza o un ragazzo e che il loro bene deve essere la priorità.

Gli infortuni e il deficit nello sviluppo neuromuscolare

Alcuni autori sostengono che ci sono pochi dubbi sul fatto che a un aumento del volume e dell’intensità sportiva corrisponda anche un aumento degli infortuni. Questo, ci dicono, indipendentemente dall’età e dal genere dell’atleta. Se ci pensiamo questo tipo di dato è abbastanza intuitivo. Se ci si allena tanto e si affrontano numerose competizioni aumenta il rischio di un sovraccarico muscolare o di un incidente di tipo traumatico. 

Altro aspetto toccato dai ricercatori, questa volta con un riferimento più specifico alla giovane età degli atleti, è legato all’infortunio in quei casi in cui uno sport richiede la ripetizione dello stesso gesto per più tempo. Ci sono infatti dei gesti che vanno a stressare eccessivamente una parte del corpo e per cui c’è bisogno di porre una maggiore attenzione. Specializzarsi in un singolo sport troppo precocemente, a maggior ragione se non c’è un’ attenzione a fare crescere il minore in maniera armoniosa, rischia quindi di rendere il corpo del giovane atleta più fragile. Per questo i giovani dovrebbero essere incoraggiati a partecipare a una varietà di sport durante la crescita per poter sviluppare diverse abilità motorie e arrivare poi in un età più matura a identificare uno sport, o sport, che piacciono di più. Al contrario la mancanza di diversificazione potrebbe non consentire ai bambini e alle bambine di sviluppare quelle abilità neuro-muscolari che possono essere utili, tra le altre cose, proprio ad evitare gli infortuni. Diversificare fa dunque molto bene ai bambini e, come abbiamo già avuto modo di dire, non riduce le sue possibilità di eccellere in futuro in uno sport. Anzi, il fatto di crescere in maniera armoniosa e riducendo il rischio infortuni non può che essere un fatto positivo anche da un punto di vista strettamente sportivo.  

Isolamento sociale

Dedicarsi allo sport in maniera agonistica può portare il minore a isolarsi dai suoi coetanei perché sono i tempi degli allenamenti e delle gare a scandire le sue giornate. In questo modo il rischio è che tutto graviti attorno allo sport e che venga meno quel tempo libero da passare insieme ad amici e compagni di classe. Questo discorso è ancora più valido in adolescenza dove le relazioni sono fondamentali per lo sviluppo del ragazzo. Ad esempio, una ragazzina che avevo seguito durante l’adolescenza e che fin dall’infanzia praticava ginnastica ritmica allenandosi quotidianamente o quasi e avendo le gare durante i weekend, mi riportava di non avere mai partecipato a una festa di compleanno di un compagno di classe perché era sempre impegnata con lo sport. Il rischio di queste situazioni è che l’attività sportiva diventi il centro della vita di un ragazzo o una ragazza e che non ci sia altro al di fuori di questo. Decidere di abbandonare uno sport dopo averlo praticato per diversi anni può quindi essere molto faticoso perché il ragazzo si sente solo e può temere di non riuscire ad avere contatti al di fuori di quell’ambiente in cui è cresciuto.

Il discorso diventa ancora più complesso in quei casi in cui si sceglie di praticare l’home schooling per favore gli allenamenti. In questo modo viene meno anche quel momento di relazione che la scuola consente e il rischio di andare incontro all’isolamento sociale è altissimo.   

Dipendenza dall’altro

La vita di un giovane atleta con prospettive o che ha già raggiunto dei risultati è fortemente regolamentata e controllata dalle persone che gli girano attorno (allenatore, genitori, sponsor…). Anche in questo caso il rischio è che il minore perda il controllo su ciò che gli sta capitando e si affidi totalmente a chi sta decidendo per lui. Tra l’altro, anche in termini di motivazione, questo tipo di situazione rischia di essere controproducente perché se non si lavora per far crescere e sviluppare una motivazione intrinseca, quindi riconosciuta in primis dalla persona, la delusione potrà sempre essere dietro l’angolo.

Burnout

Anche se questo termine viene utilizzato inizialmente per descrivere delle sindromi di tipo psicologico all’interno delle professioni di aiuto, da ormai diversi anni si utilizza questa categoria diagnostica (non presente nei principali manuali diagnostici come il DSM V e l’ICD-10) anche in ambito sportivo. Il burnout descrive quelle situazioni in cui una persona non riesce più a sostenere il carico di lavoro che l’ambiente esterno gli impone. In ambito sportivo questo significa non reggere le richieste fisiche o psicologiche che vengono poste. Può essere ad esempio che l’atleta senta di non essere più in grado di soddisfare le altrui e proprie aspettative, che non si diverta più nell’attività praticata, che non pensi ad altro che fermarsi. I sintomi che descrivono questa condizione sono l’agitazione, disturbi del sonno, perdita di interesse per la pratica sportiva, depressione, percezione di mancanza di energie, problemi somatici, nausea e malattie frequenti. 

Tra le motivazioni scatenanti il burnout troviamo invece l’infortunio, l’eccessiva criticità nelle proprie prestazioni, per cui ciò che si fa sembra non essere mai abbastanza, e il sovrallenamento. Di fatto il giovane atleta sembra non divertirsi più e soprattutto per lui non è più sostenibile il carico di lavoro imposto dall’altro. Anche insistere troppo sul valore della vittoria può essere deleterio e indurre i giovani atleti a stati d’ansia pre-prestazione che rischiano di rimanere incisi nella loro memoria.

Focalizzandosi sui giovani atleti e sul loro bisogno di relazioni, si è visto che avere relazioni positive con coetanei fa aumentare il divertimento nell’attività e quindi anche la motivazione, così come parificare sport insieme a un amico. Al contrario, allenarsi con un gruppo di atleti più grandi dove il livello di prestazioni è più elevato e dove è anche più difficile costruire relazioni aumenta il rischio di burnout. Dati che ci fanno ricordare, se mai ce ne fosse bisogno, che abbiamo sempre a che fare con bambini e ragazzi prima ancora che con atleti e che ascoltare i loro bisogni è fondamentale per farli crescere nella maniera migliore possibile.

Manipolazione

La manipolazione non è che un possibile effetto di quella dipendenza dall’altro che il giovante atleta e la sua famiglia stabiliscono con gli allenatori e più in generale con la società sportiva. Il rischio è infatti quello di trovarsi progressivamente sempre più dentro al sistema e perdere, o comunque far fatica a mantenere, la dimensione soggettiva. La manipolazione sociale ha a che fare con una serie di vantaggi, anche di tipo economico, che il praticare agonismo porta all’atleta. Negli Stati Uniti, ad esempio, ci può essere una maggiore facilità ad accedere a delle borse di studio ma stando invece al nostro paese può essere l’accesso al sport senza pagare la quota di iscrizione e magari avendo l’attrezzatura gratis. Questo trattamento preferenziale può portare la società sportiva ad avere un eccessivo controllo sull’atleta. 

Un altro tipo di manipolazione è quella di tipo dietetico dove gli atleti e le atlete possono essere più o meno direttamente spinte a seguire un certo tipo di regime alimentare. In quegli sport in cui conta molto la dimensione estetica, come la ginnastica, la danza o il pattinaggio, la pressione a mantenere un certo peso corporeo in un periodo come quello adolescenziale in cui il corpo si trasforma può indurre a problematiche di vario tipo. Allo stesso modo anche i commenti di allenatori, staff e genitori in merito al peso o alla forma dell’atleta possono non essere salutari in questa fase dello sviluppo del ragazzo. Un discorso simile, questa volta spostandosi sul versante opposto, riguarda quegli sport in cui i ragazzi e le ragazze sono spinte ad aumentare la massa muscolare per potere essere maggiormente competitivi. 

C’è poi la manipolazione chimica, fatta da integratori alimentari, diuretici e stimolanti fino ad arrivare, purtroppo, anche a farmaci che aiutano a migliorare le prestazioni e che si configurano come doping. Se a contare è la prestazione anche per i più giovani non stupisce che in alcuni casi si arrivi anche a questo tipo di situazioni. Il punto che qui preme sottolineare, però, è che all’interno di questa cornice il giovane o la giovane atleta è una vittima del sistema più che essere la persona che sceglie in maniera soggettiva e responsabile.

Qui i riferimenti bibliografici:

  • Post Eric G e coll, The Association of Sport Specialization and Training Volume With Injury History in Youth Athletes in Am J Sports Med, Maggio 2017
  • Myer Gregory D e colleghi, Sport Specialization, Part I: Does Early Sports Specialization Increase Negative Outcomes and Reduce the Opportunity for Success in Young Athletes? in Sports Health, Sett-Ott 2015
  • Malina Robert M., Early sport specialization inCurrent Sports Medicine Reports,  November 2010 – Volume 9 – Issue 6 – p 364-371
  • Milone D., Burnout Sportivo: cos’è e perché è importante conoscerlo, State of Mind del 4 Marzo 2021
  • Malina Robert M., Early sport specialization inCurrent Sports Medicine Reports,  November 2010 – Volume 9 – Issue 6 – p 364-371
  • Trabucchi Pietro,  Resisto dunque sono, Corbaccio, Milano, 2010 
  • Malina Robert M., Early sport specialization in Current Sports Medicine Reports,  November 2010 – Volume 9 – Issue 6 – p 364-371
  • Laure P. e coll., Adolescent athletes and the demand and supply of drugs to improve their performance in J. Sports Sci, Settembre 2005