Come cura la psicoanalisi?
Da una riflessione con un collega è nata questa domanda: come cura la psicoanalisi? Soprattutto, c’è qualcosa di più incasinato della realtà umana?
In questi giorni mi sono confrontato con un collega sul senso della psicoanalisi e, più nel dettaglio, su come dobbiamo intendere la cura. La clinica, ci dicevamo, richiede sempre di aspettare il tempo dell’Altro. Ma nella società attuale, frenetica, affamata di risposte e bulimica, questo tempo sembra sempre mancare. Per questo oggi assistiamo alla vittoria di tutte quelle teorie che propongono una risposta al problema, che sostengono di far risparmiare tempo, di essere subito efficaci nella lotta al sintomo (forse perché non hanno ben compreso che cosa sia un sintomo e perché si strutturi proprio in quel modo). Dobbiamo arrenderci a tutto questo? No, ovvio.
Credo molto nella provvidenza, anche quando si traduce nella lettura giusta al momento giusto. Il mio analista mi diceva sempre di non affannarmi a riempire la mia agenda perché l’agenda viene riempita dall’Altro. Sto leggendo il seminario sulle Psicosi di Lacan, tenuto tra il 1955 il 1956. Un seminario molto bello, che si dovrebbe rendere obbligatorio all’Università. In particolare, la lezione VI, intitolata “Il fenomeno psicotico e il suo meccanismo”, è di una ricchezza che lascia senza parole.
Ad un certo punto ho trovato un passaggio che inquadra perfettamente il problema della cura.
“C’è sempre qualcosa che non quadra. E’ un fatto evidente, a meno di non partire dall’idea che ispira tutta la psicologia classica, accademica, e cioè che gli esseri umani sono degli esseri adattati, come si dice, in quanto vivono, e che dunque tutto deve quadrare. Non siete psicoanalisti se ammette questo. Essere psicoanalisti è semplicemente aprire gli occhi sull’evidenza che non c’è nulla di più incasinato della realtà umana. Se credete di avere un io ben adattato, ragionevole, che sa navigare, riconoscere ciò che c’è da fare e ciò che non bisogna fare, tenere conto della realtà, non rimane che mandarvi lontano da qui. La psicoanalisi, congiungendosi in questo con l’esperienza comune, vi mostra che non c’è nulla di più stupido di un destino umano, ovvero che si resta sempre infinocchiati. Anche quando si fa qualcosa che riesce bene, non è proprio quello che si voleva. Non c’è nessuno più deluso di qualcuno che dichiari di essere arrivato al colmo dei suoi auspici, basta parlare tre minuti con lui, francamente come forse solo l’artificio del divano psicoanalitico permette di fare, per sapere che alla fine di quella roba se ne infischia altamente, e che per di più è particolarmente infastidito da ogni sorta di cose. L’analisi è accorgersi di questo, e tenerne conto”. (Lacan Il seminario, Libro III, pag 95)