Genitori e figli,  Psicoanalisi

L’amore di una madre

L’amore di una madre per il suo bambino rappresenta tutto quello che un bambino può desiderare di avere. Ma come si può amare senza soffocare? Come amare liberando l’amato dall’amore?

“Si tratta, per il bambino, di includere se stesso nella relazione come l’oggetto dell’amore della madre. Si tratta per lui di cogliere che è lui stesso a portare il piacere alla madre. Una delle esperienze fondamentali del bambino è quella di sapere se la sua presenza comanda, anche per poco, quella presenza che gli è necessaria, se è lui a introdurre l’illuminazione che fa sì che tale presenza sia lì e lo circondi, se è lui a potarle un soddisfacimento amoroso. In breve, l’essere amato è fondamentale per il bambino. Si tratta dello sfondo su cui si esercita tutto ciò che si sviluppa tra lui e la madre” Lacan, Seminario IV, Lezione XIII

Un passaggio molto bello all’interno del seminario su La relazione oggettuale (1956-57). Al centro il bambino e quella prima relazione d’amore che insatura con sua madre fin dai primi attimi di vita. Una relazione che non basta, che non deve bastare, ma che in qualche modo rappresenta il terreno su cui il bambino imposterà tutte le sue relazioni future.

Il bambino ha bisogno di una sola cosa: essere amato, essere desiderato. Tutto questo si traduce poi in quei gesti di cura che solo una mamma innamorata di suo figlio è in grado di mettere in atto. Prima l’amore, poi tutto il resto.

Ho la sensazione che oggi si metta invece al centro il resto e si lasci in secondo piano l’amore. La relazione diventa così fredda e si trasforma in una serie di presunti bisogni del bambino che una mamma deve soddisfare per sentirsi appagata. A dire il vero, già nel 1907, Freud aveva intravisto questa tendenza e metteva tutti in guardia.

“Mi sembra che noi diamo troppa importanza ai sintomi e ci preoccupiamo troppo poco della loro provenienza. Nell’educazione dei bambini noi badiamo soprattutto a essere lasciati in pace, a non avere difficoltà, insomma a fare di ognuno di essi un “bimbo bene educato”, curandoci assai poco di sapere se la disciplina a cui l’assoggettiamo giovi anche a lui oppure no. Perciò trovo plausibile l’idea che per Hans l’aver prodotto questa fobia fu una cosa salutare, poiché essa da una parte richiamò l’attenzione dei genitori sulle difficoltà che ogni bambino alle prese con la sua educazione civile inevitabilmente incontra nello sforzo di superare le sue componenti pulsionali innate, dall’altra fece accorrere il padre in suo aiuto”. Freud, Caso clinico del piccolo Hans

Ho spesso l’impressione che alcune intuizioni di Freud siano state sprecate. Ma ancora oggi, di fronte a certi sintomi che i bambini presentano, la questione resta la stessa: è stato un bambino desiderato?